Nosiola e Rebo: gli Hänsel e Gretel della viticoltura trentina

Nosiola e Rebo gli Hänsel e Gretel della viticoltura trentina vini del Trentino vino santo reboro

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EDITORIALE –
Basso tenore alcolico, ottimi livelli di acidità, discreta resistenza alle malattie e, udite bene, alla siccità. È più facile elencare i pregi della Nosiola che i suoi difetti, unico tra i quali sembra essere l’incomprensibile gap tra i pregi stessi e la scarsa considerazione di cui gode il vitigno. Nosiola e Rebo, varietà a bacca rossa ottenuta a fine anni Quaranta dall’incrocio di Merlot e Teroldego da parte dell’agronomo Rebo Rigotti, sono fratello e sorella in Valle dei Laghi, a una ventina di minuti da Trento. Gli Hänsel e Gretel della viticoltura trentina, distratta dal successo dei vitigni internazionali, anche nelle carte dei vini dei ristoranti locali.

A denunciarlo, per l’ennesimo anno consecutivo, è l’Associazione Vignaioli del Vino Santo Trentino Doc, protagonista lo scorso weekend di DivinNosiola – quando il Vino si fa Santo” 2023, culminata con il tradizionale “Rito della spremitura” a Santa Massenza (sotto il video). Il passaggio di consegne alla presidenza da Enzo Poli (Maxentia) al subentrante Alessandro Poli (Az. Agr. Francesco Poli) si è svolto nel solito clima di incredulità rispetto alle sorti della Nosiola e del Vino Santo. Un sentimento condiviso anche da Roberto Anesi, sommelier Ais che ha condotto una masterclass dal sapore nuovo.

DALLA NOSIOLA SECCA AL VINO SANTO DEL TRENTINO

Per la prima volta, accanto a quattro etichette di Vino Santo delle annate 2008 (Pravis), 2003 (Gino Pedrotti), 1998 (Francesco Poli) e 1983 (Fratelli Pisoni) sono state presentate due Nosiola secche. I vini, prodotti da Giovanni Poli e Maxentia, entrambi dell’annata 2022, hanno mostrato la grande versatilità del vitigno, capace di regalare vini freschi e tesi, con potenziale assoluto di affinamento. Vini che entrano perfettamente nelle corde del consumatore moderno, a caccia di etichette dal basso tenore alcolico, immediate ma non banali, fresche e che privilegino la facilità di beva.

Un contraltare perfetto per i più ricchi e complessi Vino Santo, che nell’orizzontale hanno confermato l’attesa longevità, nonché sottolineato – ancora una volta – l’incredibile occasione persa dai ristoratori locali (e nazionali), che indugiano a presentarli in mescita nelle loro carte vini. E non è una questione di prezzo, considerando che il Vino Santo “d’annata”, in cantina (dunque tasse incluse), si aggira attorno ai 34 euro. «Vini – ha sottolineato Roberto Anesi – che si conservano a lungo una volta aperti, il che non fa altro che sottolineare l’occasione persa da molti ristoranti».

LA NOSIOLA NELLA SFIDA DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI

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Con la giusta comunicazione a livello internazionale, la Nosiola potrebbe diventare la “New thing” del Trentino del vino. Anche perché, come dimostrano alcune versioni – da provare, su tutte, quella dell’Azienda agricola Francesco Poli di Santa Massenza – il vitigno si presta pure in versione “bollicina”, in particolare come rifermentato in bottiglia. Quanti altri vitigni possono contare su una trasversalità tale, dalle versioni “frizzanti” ai vini fermi, chiudendo con vini dolci di gran pregio? Su tutti, il paragone della Nosiola con il Furmint di Tokaji è immediato, nonostante il secondo sia molto più noto, ricercato e ben considerato su scala globale.

Diverso è anche il “peso” del vigneto di Nosiola, che conta poco più di 70 ettari, meno dell’0,1% degli ettari vitati complessivi del Trentino (la varietà più allevata, con 2.550 ettari, è il Pinot Grigio). «Eppure – commenta Erika Pedrini (nella foto, sopra) dell’Azienda agricola Pravis – è un’uva incredibile. Ha il grande vantaggio di mantenere una bella acidità, anche in annate molto calde e siccitose come queste ultime, ed è dunque una varietà a cui i cambiamenti climatici fanno meno paura. Ed è proprio grazie a questa bella freschezza che si presta bene all’appassimento e a lunghi affinamenti».

DAL REBO AL REBORO

E il Rebo? Come detto, è il “fratello” trentino della Nosiola, con cui non condivide il patrimonio genetico, bensì le sorti di “vitigno-vino di nicchia“. In Valle dei Laghi, l’associazione locale lo propone soprattutto nella sua versione “Reboro“, marchio registrato che indica i vini rossi ottenuti da leggero appassimento del Rebo sfruttando, per l’appassimento naturale su graticci, lo stesso vento che favorisce la produzione del Vino Santo: l’Ora del Garda. Il Reboro trascorre un lungo periodo di permanenza sulle bucce e passa in rovere, prima di essere imbottigliato. Ne nasce un vino piuttosto corpulento, che necessita di abbinamenti importanti a tavola.

Eppure, a sorprendere ancor più del Reboro, sempre in ottica di modernità e capacità (potenziale) di catturare il gusto dei consumatori internazionali del giorno d’oggi, sono le versioni più semplici e beverine del Rebo, che non subiscono alcun appassimento, con vinificazione in acciaio. Vini dal colore mai troppo carico, capaci di mostrare appieno le caratteristiche dei due vitigni originari, Merlot e Teroldego. Varrebbe la pena parlarne di più, anche a livello locale. Perché se il “vino dolce” e il “passito” non sono (più) per tutti, un buon rosso “da piscina” è quello che il consumatore chiede, al giorno d’oggi. Specie se, alle spalle, ha una bella storia da raccontare. Anche attraverso i volti dei vignaioli del Trentino.