L’assurda guerra del Montepulciano tra Abruzzo e Marche: una storia italiana

assurda guerra del Montepulciano tra Abruzzo e Marche una storia italiana sinonimo cordisco

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EDITORIALE – Tra Abruzzo e Marche è in atto un’assurda guerra sul Montepulciano. Una classica storia italiana,
condita dalla retrograda, testarda e anacronistica difesa del mero nome di un vitigno, più che di un territorio. Un principio su cui le due regioni stanno percorrendo strade diametralmente opposte. Mentre le Marche, con l’Istituto Marchigiano di Tutela Vini presieduto da Michele Bernetti, intendono rendere facoltativo il nome del vitigno Verdicchio sui vini Riserva di Jesi e Matelica (questa sì che è visione e futuro), il Consorzio di Tutela Vini d’Abruzzo, con il presidente Alessandro Nicodemi, chiede al governo Meloni – in particolare al Masaf guidato dal ministro Francesco Lollobrigida – di vietare a tutte le altre denominazioni – non solo ai vicini marchigiani – di nominare il Montepulciano sull’etichetta dei vini, sulle loro schede tecniche e su qualsiasi opuscolo aziendale.

Al suo posto, gli “altri” dovrebbero utilizzare un sinonimo che non è neppure inserito nel Registro nazionale delle varietà di Vite: lo sconosciuto Cordisco. Una vicenda con molti lati oscuri. Quello che Nicodemi non racconta, in primis, è che la guerra è anche interna al “suo” Abruzzo. Già perché, tra le denominazioni a cui vorrebbe vietare l’utilizzo della parola Montepulciano, vi è anche il Cerasuolo d’Abruzzo Doc, prodotto per lo più con Montepulciano in purezza, vinificato “in rosa”. A svelarlo è Enrico Cerulli Irelli, presidente del Consorzio Tutela Vini Colline Teramane – la Docg del Montepulciano d’Abruzzo – che si schiera con il Consorzio Doc nonostante l’ammissione che «il peccato originario è avere tutti i vini regionali che riportano il nome del vitigno, scelta fatta decenni e di cui paghiamo oggi le conseguenze».

CERASUOLO D’ABRUZZO, SCIVOLONE DEI PRESIDENTI ABRUZZESI

Tuttavia, sui siti web ufficiali (come da photogallery, sotto), sia la sua azienda (Tenuta Cerulli Spinozzi) che quella del collega presidente Nicodemi (Fattoria Nicodemi) indicano “Montepulciano” alla voce “uve” dei loro Cerasuolo, contravvenendo – nella forma e nella sostanza – alla normativa attuale (non al nuovo DM, se fosse approvato come da bozza contestata!). Il tutto al pari di numerose aziende marchigiane che, negli ultimi anni, hanno subito sanzioni per l’uso improprio del termine “Montepulciano” (posizioni poi sanate in seguito al ricorso presso il Giudice di Pace, come informa l’Istituto Marchigiano di Tutela Vini). Non solo. Lo stesso Consorzio di Tutela Vini d’Abruzzo utilizza il nome “Montepulciano” in deroga rispetto al Vino Nobile di Montepulciano.

Una causa legale, quella tra Toscana e Abruzzo, spuntata dagli abruzzesi proprio grazie alla larga diffusione del vitigno in diverse regioni del centro-sud Italia (in primis in Abruzzo, con circa 18 mila ettari, e a seguire le Marche, con circa 2 mila ettari). Il “Nobile” viene invece prodotto per la maggior parte con uve Sangiovese. Nel marchio collettivo del Nobile, “Montepulciano” indica la località geografica, mentre per il vino “Montepulciano d’Abruzzo” il mero vitigno. Dopo aver firmato nel 2012 un protocollo d’intesa con il Consorzio del Nobile per l’utilizzo della parola “Montepulciano”, l’Abruzzo di Nicodemi pretende ora che la menzione del vitigno diventi sua esclusiva.

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UN COMUNICATO FUMOSO E IL CLASSICO “COPIA-INCOLLA” DELLA STAMPA

La querelle si è accesa sul finire di luglio 2023, quando il Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo ha diramato una nota stampa che ha finito – come spesso accade – per essere pubblicata col “copia-incolla” da quasi tutte le testate di settore, oltre che da quotidiani generalisti. Un comunicato fumoso, sul quale non sono arrivate delucidazioni valide neppure a fronte di nostre precise richieste. Nel testo veniva infatti menzionato il timore per i contenuti del “DM Etichettatura” e, in particolare, per l’ormai diventato celebre «articolo 16».

Secondo Nicodemi, «la proposta di una sorta di “liberalizzazione indiscriminata” dell’uso dei vitigni in etichetta, senza nessuna eccezione, come previsto invece per altri vitigni e sinonimi, porterebbe un danno incalcolabile non solo in termini economici, ma anche di comunicazione, creando una vera distorsione di mercato. L’utilizzo di un sinonimo garantirebbe sia la corretta informazione al consumatore, sia il patrimonio storico delle denominazioni-vitigno».

A tal proposito il Consorzio, già in data 10 marzo 2023, aveva richiesto al Masaf il reinserimento del sinonimo “Cordisco” per il vitigno “Montepulciano” nel Registro Nazionale Varietà delle Viti, già presente nel 1988 e poi scomparso misteriosamente nella trasformazione dello stesso da cartaceo ad informatico. Con l’inserimento del sinonimo Cordisco nel Registro nazionale delle varietà, le denominazioni riconosciute in altre regioni, che contemplano la presenza del vitigno Montepulciano nella base ampelografica di riferimento delle relative DO, potrebbero colmare il proprio gap informativo verso il consumatore riportando in etichetta il sinonimo».

L’ABRUZZO ATTACCA SUL MONTEPULCIANO. IL MASAF TERGIVERSA

Aggiunge Nicodemi: «Dobbiamo difendere il lavoro di centinaia di operatori che per decenni hanno investito e continuano ad investire importanti risorse sulla promozione e sull’affermazione nei mercati internazionali del Montepulciano d’Abruzzo, da sempre legato in maniera indissolubile ad un vitigno, il Montepulciano, e al nostro territorio che, se non adeguatamente tutelati, rischiano di essere “banalizzati” ed utilizzati da altri operatori solo per “meri fini commerciali”, a danno del radicamento storico e territoriale da tutti unanimemente riconosciuto». Interpellato da winemag.it, l’ufficio stampa del Ministro Lollobrigida si limita a precisare che «nulla è ancora deciso» e che «il Masaf approfondirà ulteriormente la questione prima di procedere con il decreto».

Secondo voci di corridoio, il titolare del dicastero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare e delle Foreste intenderebbe prima promuovere un tavolo di lavoro con gli attori coinvolti nella vicenda (non ultime le forze di governo regionali, in quota FdL e Lega sia in Abruzzo che nelle Marche). Oltre al Consorzio guidato da Nicodemi, l’Abruzzo si mostra compatto nella battaglia con le associazioni Copagri (Leo Spina), Confagricoltura (Mauro Lovato e Camillo Colangelo), Confcooperative (Antonio Marascia), Lega Coop (Andrea Di Fabio), Coldiretti (Roberto Rampazzo e Pier Carmine Tilli), DAQ Vino (Rocco Pasetti), Assoenologi (Gianni Pasquale) e CIA (Domenico Bomba), che «chiederanno la revisione del testo in presentazione, con il mantenimento delle tutele esistenti in materia di utilizzo del nome del vitigno Montepulciano alla sola regione Abruzzo».

LA POSIZIONE DELLE MARCHE CON L’IMT

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Di tutt’altro avviso l’Istituto Marchigiano di Tutela Vini. «Il Testo unico del vino – commenta il presidente Michele Bernetti (nella foto, sopra) – prevede l’inserimento in etichetta, con la dovuta regolamentazione, del nome del vitigno utilizzato. Riteniamo perciò, al pari delle principali organizzazioni del vino sia in ambito nazionale che comunitario, che le corrette informazioni in etichetta rappresentino una garanzia a tutela dei consumatori, e quanto stabilito dal Testo unico per i vini Dop e Igp vada in questa direzione».
Secondo l’Imt, la norma orizzontale riguarda tutti i vitigni che compongono i blend dei vini a denominazione, compresi molti marchigiani a partire dal Verdicchio.

Non c’è perciò ragione di fare eccezioni, violando peraltro il principio di eguaglianza, come ipotizzato da un nuovo comma (nr. 16, articolo 5) del decreto attuativo, già criticato dalla maggioranza delle organizzazioni di filiera. Il mondo del vino, come previsto dal Testo unico, deve ambire alla massima trasparenza nei confronti dei consumatori, anche e soprattutto per un vitigno, il Montepulciano, coltivato in quasi tutte le regioni italiane per un totale di 35 mila ettari, 2 Docg, 36 Doc e 88 Igt».

Quanto all’uso del sinonimo Cordisco: «Non esiste neppure – chiosa Bernetti – e sono stupito da questa proposta che giunge dall’Abruzzo, che usa “Montepulciano” in deroga. Pretendere che una regione o un gruppo possa registrare il nome di un vitigno sembra un concetto vicino alle logiche degli OGM, con le multinazionali che registrano un seme e non lo danno a nessuno. Nelle Marche siamo fedeli al nostro territorio e non vogliamo sostituirci o imitare nessuno. Stiamo di fatto raccogliendo materiale per dimostrare la storicità della presenza del Montepulciano nella nostra regione. D’altro canto, come ci stanno insegnando gli stessi americani con le loro nuove denominazioni, il territorio vince sempre sul nome dell’uva. Non intendiamo dunque accettare le condizioni di questa guerra di retroguardia, avendo imboccato, nella nostra regione, la strada opposta». Al Masaf e al ministro Lollobrigida l’ultima parola.